“L'Est è una carriera”
B. DISRAELI, Tancred
“Ti ricordi di Dolly Bell”, uno dei primi film giunti in Italia di Emir Kusturica, era scandito quasi ossessivamente da questa canzone del molleggiato nazionale. Lo stesso regista affermò in
un'intervista, in occasione della Leone assegnato a questo film a Venezia, che questa canzone corrisponde “al tempo in cui l'iconografia dell'ovest è arrivata fortemente nella nostra società, è
entrata nelle nostre case attraverso l'Italia e, in qualche modo, attraverso radio Luxemburg e la cultura anglosassone del rock”. Celentano faceva da colonna sonora ad un'epoca di transizione,
dove la cortina diveniva forse più permeabile, perlomeno per alcuni paesi, tra cui la Jugoslavia titina. L'altra presenza forte, in questo caso narrativa e visiva nell'ex Jugoslavia, era Alan
Ford di Magnus e Bunker: quasi 60.000 copie vendute. Certo, questa era la Jugoslavia, che poi è diventata molti paesi, proprio per convincerci, se ce n'era bisogno, che una visione monolitica e
semplicistica di quello che avviene aldilà della siepe di casa nostra non è mai reale.
Il blocco però era blocco, e che sapevamo noi dell'immaginario che viaggiava in questi paesi? Quasi nulla, oppure avevamo visioni oleografiche di parate militari e di file ai negozi per
l'acquisto dei generi alimentari. Parallelamente invece il buco si forava e l'immaginario fatto di jeans e coca cola come un fantasma si aggirava per l'Europa. La musica, anche.
Dopo lo sbarco in Normandia, il nuovo esercito si armava di immagini e in un certo senso vinceva questa battaglia silenziosa. Il muro fisico cadde nel lontano (metaforicamente) 1989, lasciando
dietro di sé una scia di foto ricordo e pezzetti raccolti come feticci dagli astanti. Celentano si è messo a fare il messia del varietà, la guerra fredda è divenuta conflitto interetnico, diffuso
a macchia di leopardo, le donne dell'est sono divenute cittadine spesso di serie B dei nostri paesi: lo specchio di Alice non è stato, malgrado le visioni ottimistiche di integrazione e di
ascolto, oltrepassato, se non in un unico senso. L'immagine continua ad essere prodotta, solo in un unico centro, almeno apparentemente.
Ci sono però modalità di produzione talmente poco costose e popolari, che possono sopravvivere anche alla periferia del centro. Una di queste è il fumetto. Il lavoro di costruzione di questa
mostra, originariamente denominata Stripburek, fatto dal team della rivista di Ljubjiana Stripburger, è da questo punto di vista eccezionale, perché ci dà uno spaccato altrimenti invedibile, del
fumetto underground di Paesi come la Macedonia, la Polonia, il Kosovo, addirittura il Kazakistan.
In questo senso noi siamo solamente ospiti di questa mostra, che offre all'occhio non solo immagini, ma storie, stili, segni diversi, al contempo fortemente contaminati e che stanno nel crogiolo
catodico di questa società produttrice e fagocitatrice di immagini.
Il nostro progetto è nato dalla consapevolezza che l'idea di Oriente e Occidente siano il prodotto delle energie materiali ed intellettuali dell'uomo; perciò, proprio come l'Occidente, l'Oriente
è un'idea che ha una storia e una traduzione di pensiero, immagini e linguaggio che gli hanno dato realtà e presenza: cosa ne è di questa immagine nella sua collisione con l'Ovest dopo la caduta
del muro? Come si rappresenta? La cultura underground del fumetto e dell'illustrazione possono essere un utile veicolo visivo alla conoscenza di un immaginario che per lo più viene rappresentato
dall'Oriente stesso, ma che difficilmente trova spazio di autorappresentazione. All'interno dell'esposizione ci sono ovviamente anche autori che sono già noti, anche ad un pubblico di non
assatanati di fumetto, come Aleksandar Zograf.
Difatti egli, grazie alla traduzione di Dario Morgante, ha pubblicato anche in Italia il suo diario da sotto i bombardamenti. Peacelink ha curato il libro Cronache sotto i bombardamenti, una
raccolta di email dalla Serbia tra cui i messaggi di Zograf. “Sono solo uno stupido vignettista, ma da quello che posso vedere le persone comuni di ogni parte vengono colpite, stanno tutte
sanguinando, sono confuse e smarrite, e quando tutto questo sarà finito, i tre governi delle parti in conflitto saranno al sicuro e faranno proclami mentre la folle gente dei Balcani dovrà
leccarsi le ferite per molti anni a venire” scriveva dal suo computer. Il centro di fumetto Andrea Pazienza ne ha curato un albo. La rivista Kerosene ha continuato pubblicando i disegni della
guerra che nessuno ricorda più, la casa editrice Puntozero ha pubblicato Saluti dalla Serbia. Egli proviene, e non è un caso, dal mondo musicale. Prima giornalista del mondo cattivo del rock, ha
scoperto la forza del fumetto da adulto. I suoi lavori sono stati pubblicati non solo in Italia, ma anche in Francia, Grecia, Stati Uniti.
Anche Danjel Zezelj, nativo di Zagabria e nomade per necessità e vocazione, non è certo un nome ignoto agli appassionati della striscia raffinata. Ora lavora a Seattle, disegna anche per la DC
Comics/Vertigo, ma molti ricordano ancora Il ritmo del cuore, presentato da Federico Fellini.
Gli altri sono per il momento puri nomi. Difficili anche da pronunciare. È vero che anche per i nativi italiani non è facile trovare un editore, che tutti, a torto o a ragione, si lamentano del
pubblico, della distribuzione, del tempo e della SIAE. Credo però che ascoltare e vedere storie sia ancora una malattia che ci possiamo permettere. E forse, per ventiquattromila baci, un editore
audace si potrebbe anche trovare, vista la qualità che serpeggia in questi lavori.
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